Questo non è un articolo scientifico. Meglio metterlo subito in chiaro, per non illudere nessuno. In realtà qualcosa di scientifico c’è. Non è realistico, ecco! Ma scientifico a modo suo sì!
Vi voglio raccontare di quella volta che un bimbo di quasi otto anni ha fatto luccicare di emozione i miei occhi da geologa. Innanzitutto perché lui le chiama nel modo corretto: Rocce! E già solo per quello meriterebbe un premio!
Avevo deciso di portare il mio compagno e suo figlio in un parco, ma non un parco qualunque, bensì l’Oasi di Baggero. Un posto che amo, perché è un posto che ho vissuto e in cui ho letteralmente vissuto per un periodo della mia vita. Quando ho fatto il corso per diventare guida ambientale escursionistica, infatti, ho frequentato le lezioni e dormito all’ostello dell’Oasi, praticamente ogni week end per 3-4 mesi. Quel luogo era diventato casa mia, i miei compagni di stanza coinquilini, i gestori dell’ostello una famiglia!
Tornarci è sempre una gioia e vi consiglio assolutamente di andarci. Un polmone verde in mezzo a una ex area industrializzata in via di riqualificazione, un posto pacifico e tranquillo dove rilassarsi e godersi la natura a due passi dalla città.

È possibile fare una breve passeggiata (di circa mezz’ora) intorno a due laghetti comunicanti che in realtà erano le cavità di un’area di estrazione di roccia calcarea. Ebbene sì, quella che attualmente è un’oasi di verde, con laghetti, anatre e cascate, una volta era una cava.
Adoro la capacità che hanno i bambini di leggere la realtà senza schemi preconfezionati, dando libero sfogo alla fantasia. Quel giorno ho avuto varie rivelazioni sull’origine di quelle rocce che pensavo di conoscere molto bene, dei calcari rosa bellissimi che a quanto pare sono stati portati lì dai marziani!

<<E certo! Marte è il pianeta rosso! Come ho fatto a non pensarci prima!?>>
E così la nostra mezz’ora di cammino è stata allietata da racconti fantascientifici di guerre tra mondi combattute migliaia di anni fa, rocce portate sulla Terra dagli alieni, eroi che si battono per salvare il nostro pianeta, vendette su vendette.
Al di là delle rocambolesche avventure passate e persino future (torneranno tra qualche anno per l’ennesima vendetta…), quello che mi ha colpito veramente è stata la capacità di deduzione così vicina al metodo scientifico convenzionale. Per quanto scuola e tv possano aiutare, mi piace pensare che si tratti di un’innata abilità di osservazione e interpretazione della natura, quella che potrebbero aver sperimentato sulla propria pelle i più antichi scienziati.
E allora vedi il colore della roccia diverso dal solito e ti chiedi da dove provenga. La roccia, in questo caso, è “marziana” allora contiene scheletri di alieni caduti in battaglia (fossili?). Per riconoscerla da altre rocce bisogna bagnarla con una mistura di olio, acqua e aceto…
Piccola parentesi: esiste davvero una tecnica molto simile che viene utilizzata dai geologi proprio su quel tipo di roccia! Al posto del “pinzimonio”, di cui sopra, si usa dell’acido cloridrico (HCl) ma per il resto, la tecnica è identica: prendi la roccia, la bagni e vedi che succede. Nello specifico, l’acido cloridrico si usa per distinguere due diverse tipologie di rocce carbonatiche:
<<I calcari “frizzano”, le dolomie no!>>
Questo avevamo imparato all’università.
La differenza fra un calcare ed una dolomia spesso non è evidente a occhio nudo. Nemmeno dal punto di vista chimico la differenza è particolarmente consistente: nel primo caso, infatti, si tratta di carbonato di calcio (calcite: CaCO3), nel secondo si deve aggiungere un altro elemento che è il magnesio (dolomite: CaMg(CO3)2). Sulla dolomia l’acido cloridrico è acqua fresca, bagni la roccia e non succede nulla. Su un calcare, invece, anche una sola goccia di acido comincerà a ribollire come quelle medicine effervescenti, il calcare per l’appunto “frigge”.
Che poi l’aceto è il tipico rimedio della nonna contro il calcare, quindi il giovanotto in fondo non aveva tutti i torti!
Piccoli scienziati esploratori crescono! 🙂
